Birra e restauro: quando il malto aiutava a salvare i dipinti
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Birra e arte: un legame nascosto
Per tanto tempo la birra è stata usata anche nel mondo del restauro artistico. Non per brindare dopo il lavoro, ma come ingrediente tecnico. Durante la Golden Age danese (XIX secolo), artisti come Købke e Eckersberg utilizzavano residui della lavorazione della birra, lieviti e cereali, per preparare le tele. Analisi moderne hanno confermato la presenza di proteine birrarie in diversi dipinti: servivano a rendere più omogeneo il fondo pittorico.
Metodo Guizzardi: la “birra” nel restauro
In tempi più recenti, un approccio chiamato “Metodo Guizzardi” prevedeva l’uso di birra o colletta per chiudere i pori della tela e controllare l’assorbimento dei materiali. Una tecnica artigianale, oggi superata ma interessante dal punto di vista storico.


Pittura con la birra? L’uso della birra come medium
Alcuni artisti contemporanei dipingono direttamente con la birra, come fosse acquerello: birre chiare, ambrate o scure danno tonalità differenti, che cambiano nel tempo per effetto dell’ossidazione. Per esempio, Karen Eland dipinge direttamente con birra (e col caffè). Le birre scure funzionano come acquerelli naturali, offrendo tonalità calde, lucide e seppiate, con trasparenze sottili. La Enland usa etichette come Deschutes Obsidian Stout o Black Butte Porter. Talvolta questi dipinti emanano profumo di malto, un elemento esperienziale tanto quanto quello visivo o tattile.

La birra nei restauri moderni?
Purtroppo non si usa più. Oggi la birra non è usata nei restauri professionali: si usano solventi controllati, gel e metodi scientifici. La birra, ricca di zuccheri e lieviti, è troppo instabile per garantire conservazione a lungo termine.
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