Home / Articoli / Sulla Birra / Il luppolo in Italia (parte 1)
ArticoliSulla Birra

Il luppolo in Italia (parte 1)

La settimana scorsa sono stata a Roma per la presentazione del libro di Giuseppe Caruso La Botanica della birra. Caratteristiche e proprietà di oltre 500 specie vegetali usate nel brassaggio edito da SlowFood.

L’incontro si è svolto nella Biblioteca della Camera dei Deputati, ringrazio l’On. Paolo Parentela, componente della Commissione Agricoltura e il suo ufficio per il cortese invito.

La Botanica della Birra
La Botanica della Birra di Giuseppe Caruso, ed. SlowFood

La presentazione del volume è stata preceduta da alcuni interventi di esperti del settore, tra cui quello della dott. Katya Carbone del CREA-Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, la ricercatrice che coordina Luppolo.it, il primo progetto di ricerca nazionale sulla coltivazione del luppolo in Italia.

Per me è stato una specie di bonus inaspettato perché sono stati toccati temi che mi interessano particolarmente e che mi danno l’occasione per fare qui un discorso complessivo, diviso in due parti. La seconda è qui.

CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria

Oltre ad essere coordinatrice del progetto sul luppolo, la dott. Carbone si occupa della filiera brassicola italiana e in generale della qualità delle produzioni agro-alimentari. Dal 2012 il CREA si interessa al settore brassicolo e al luppolo.

Progetto Luppolo.it

Obiettivo del progetto Luppolo.it è il miglioramento, quantitativo e qualitativo, del luppolo da birra coltivato nel nostro Paese. È un settore che si è messo in moto da pochi anni, con un enorme potenziale da sviluppare lungo tutta la filiera. La ricerca svolge un ruolo fondamentale e da qualche anno il Ministero ha messo in campo strumenti a sostegno della filiera della birra e delle piante officinali di cui il luppolo fa parte, ma vedremo dopo i dettagli.

Storia del luppolo in Italia

Il luppolo è una pianta molto antica, cresce spontaneamente alle nostre latitudini e le varietà selvatiche si trovano comunemente lungo i corsi d’acqua. Appartiene alla famiglia delle Cannabacee, ed è caratterizzato da un lungo fusto che raggiunge svariati metri; il nome scientifico è Humulus lupulus che indica sia la predilizione di questa pianta per le zone umide, sia la sua natura “lupesca”, tendente a soffocare le altre piante con cui entra in contatto, proprio come fa il lupo con le sue prede.

Si conoscono le proprietà benefiche del luppolo fin dal Medio Evo. Nell’antichità venita usato dai monaci nei conventi come anafrodisiaco per calmare gli stimoli sessuali. È stato l’ultimo ingrediente a venir usato per fare la birra, cominciando a diffondersi a scopo brassicolo fin dal XII secolo grazie a Hildegard Von Bingen che ne studiò le proprietà stabilizzanti e conservanti.

Hildegard Von Bingen

Coltivazione del luppolo in Italia

In Italia i primi documenti storiografici sulla coltivazione del luppolo da birra risalgono alla metà dell’Ottocento quando alcune coltivazioni, soprattutto in Emilia Romagna, ricevettero dei premi per la qualità del prodotto in fiere di settore importanti in Germania, ma anche a Firenze, in occasione dell’Esposizione Nazionale del 1861, in cui ebbe luogo un concorso per decidere la migliore varietà di luppolo per la produzione industriale della birra. Sono rimasti documenti di questo episodio che sono divertenti da leggere.

Successivamente le politiche autarchiche del Fascismo diedero una mazzata all’industria della birra italiana. Le ultime testimonianze storiografiche relative alla produzione commerciale di luppolo nel nostro Paese risalgono alla metà degli Anni Cinquanta, nella provincia di Brescia.

Da quel momento scompaiono le tracce di qualsiasi produzione di luppolo da birra sul territorio nazionale fino agli anni Ottanta, quando venne messo in piedi un progetto del CREA (anche se al tempo si chiamava in un altro modo) grazie a un co-finanziamento da parte del Ministero delle Politiche Agricole e Assobirra. Per cinque anni (1985-1989) la ricerca cercò di determinare il grado di fattibilità della coltivazione del luppolo in Italia, con risultati piuttosto positivi; venne rilevata l’adeguatezza del territorio per la coltivazione, soprattutto delle varietà straniere di luppoli.

Purtroppo il progetto fu piano piano accantonato, forse perché venne sviluppato per lo più in Veneto che possiede una tradizione vitivinicola forte. A torto o ragione, la birra è sempre stata vista come concorrente del vino.

Luppoli italiani da una dei soci dell’Associazione dei coltivatori ALI

Legge 212 del 2010: la birra agricola

I riflettori e la spinta propulsiva si sono riaccesi nel 2010 grazie al legislatore: con il Decreto Ministeriale 212/2010 per la prima volta in Italia si definisce la birra un prodotto agricolo, con tanto di marchio dal sapore autarchico. Al tempo ci fu una polemica piuttosto accesa tra i produttori, perché i birrifici non agricoli (quelli senza la loro produzione interna di materie prime) si sentivano penalizzati rispetto ai colleghi che invece avrebbero potuto accedere a finanziamenti comunitari e tassazione agevolata.

Polemiche a parte, il Decreto Ministeriale 212/10 fu un successo italiano (la birra infatti non è presente nell’allegato 1 dei prodotti agricoli comunitari) e la crescita esponenziale dei birrifici artigianali, agricoli e beer firm, si deve anche a questa legge che entrò in vigore proprio nel periodo della crisi economica.

Che il settore della birra abbia superato la crisi economica e ne sia uscito rafforzato in tutta Europa, lo sostengono anche i vertici di The Brewers of Europe, l’organismo che riunisce le 29 associazioni di categoria nazionali per dare una voce unica agli oltre 10.000 birrifici dell’Unione.

Un momento favorevole di cui ha beneficiato anche il settore delle materie prime della birra, compresa la produzione di luppolo.

Fine prima parte. Nella seconda parte vediamo un po’ di numeri generati dal mercato italiano su volumi e occupazione e raccontiamo la legge sulla birra artigianale.

Logo nuovo di Pinta Medicea

Francesca Morbidelli

Mi chiamo Francesca Morbidelli, sono tra i fondatori della Pinta Medicea. Dal 2007 scrivo di birra su questo blog e ne gestisco le varie emanazioni social. Sono docente e giudice in concorsi birrari da ben oltre un decennio, e collaboro sia con MoBI che con Unionbirrai. My beer resume (in English). Amministratrice del sito La Pinta Medicea. Contatti: francesca [at] pintamedicea.com - Twitter: @pintamedicea - LinkedIn Francesca Morbidelli.