Unionbirrai dà il benestare alla pastorizzazione per le birre analcoliche
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Unionbirrai chiarisce su birra analcolica e pastorizzazione
Mentre ero al Great British Beer Festival, è arrivata una notizia interessante dal mondo brassicolo italiano: Unionbirrai, l’associazione che rappresenta i microbirrifici artigianali indipendenti, ha diffuso un comunicato per fare chiarezza su un tema sempre più attuale, quello delle birre analcoliche e della pastorizzazione.
Le birre artigianali analcoliche tra divieti di legge e sfide igieniche: il dibattito sulla pastorizzazione è più aperto che mai
Con la crescente domanda di birre a bassa o nulla gradazione, anche i piccoli produttori si stanno avvicinando a questa tipologia che richiede una cura produttiva diversa e in certi versi più complessa. Ne avevamo già parlato tempo fa con Teo Musso al Pitti Taste, in occasione dell’uscita della linea di birre analcoliche Botanic Baladin. Secondo Musso, era giunto il momento di riaprire il dibattito sulla possibilità di pastorizzare le birre artigianali analcoliche.
A oggi, la legge italiana stabilisce che una “birra artigianale” non può essere pastorizzata (oltre a dover rispettare altri requisiti).
A cosa serve pastorizzare le birre analcoliche?
Il problema è che produrre una birra analcolica richiede condizioni igieniche e ancora più rigorose di quelle, già elevate, tipiche dei birrifici artigianali. È una sfida impegnativa, specialmente per le piccolissime realtà produttive, ma è anche una strada interessante, e a quanto pare obbligata viste le tendenze dei consumi, per il futuro del settore. Ricordiamo che la “birra analcolica” in Italia può contenere fino allo 0,5% di alcol in volume.
Tuttavia, la produzione di birre analcoliche presenta sfide tecniche particolari, prima fra tutte mantenere il prodotto qualitativamente stabile. La pastorizzazione serve a garantire la sicurezza microbiologica di un prodotto senza alcol e perciò più esposto ai microrganismi patogeni ma, al contempo, entra in conflitto con la definizione legale di “birra artigianale” in Italia (che non deve essere pastorizzata, né microfiltrata).
Il punto di Unionbirrai
Per rispondere a questa nuova esigenza, l’Assemblea dei soci Unionbirrai ha approvato una modifica ai requisiti tecnici di associabilità: per i piccoli birrifici sarà possibile pastorizzare le birre analcoliche senza perdere la possibilità di far parte dell’associazione, purché questa tipologia non costituisca la maggioranza della produzione del birrificio.
Prima che mi si formassero delle inevitabili domande nella mente, il direttore generale Vittorio Ferraris ha chiarito che si tratta di una scelta interna allo statuto di UB e non di un cambiamento legislativo:
“La produzione di birre analcoliche richiede oggi, in modo sempre più diffuso, trattamenti specifici per garantirne la sicurezza. Tra questi, la pastorizzazione è spesso indispensabile. Per questo abbiamo aggiornato i criteri tecnici di adesione all’associazione: chi pastorizza birre analcoliche, senza farne la propria produzione prevalente, può continuare a far parte di Unionbirrai”.
Ferraris precisa che si tratta esclusivamente di una scelta interna all’associazione:
“La nostra decisione riguarda lo statuto associativo e non intende in alcun modo sostituirsi alle leggi dello Stato o ai chiarimenti dell’Agenzia delle Dogane.”
L’artigianalità sta nel singolo prodotto
Importante ricordare che non esiste un “birrificio artigianale” per legge: l’artigianalità è una caratteristica del singolo prodotto. Se, per esempio, un birrificio pastorizza una birra, allora quella birra non potrà essere definita “artigianale”, ma ciò non inciderà sulle altre birre dello stesso produttore che invece rispettano i requisiti di legge.
In sintesi: pastorizzare una birra analcolica non compromette lo status artigianale delle altre referenze del birrificio, ma richiede un’etichettatura chiara e trasparente per informare correttamente i consumatori.
E dunque?
Dunque, la birra analcolica (pastorizzata) prodotta da un piccolo birrificio italiano non potrà essere definita artigianale. Indipendente sì, ma artigianale no.
Il punto di Pinta Medicea
Quella di Unionbirrai è una scelta pragmatica e a mio avviso opportuna. L’epoca dei purismi è finita, i birrifici sono aziende e devono essere messi in condizione di rispondere alle esigenze del mercato.
Il cambiamento di statuto è cosa consueta in paesi imprenditoralmente più reattivi come gli Stati Uniti. Ricordo la pronta modifica allo statuto della Brewers Association quando ci fu l’esplosione della moda degli hard seltzer. Con una differenza importante: negli USA è la BA che decide gli standad della craft beer, da noi c’è una legge dello Stato. Unionbirrai però è l’associazione di categoria dei piccoli birrifici italiani ed è stato opportuno che si sia mossa di conseguenza.

