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La coltivazione del luppolo in Italia

Durante lo scorso Craft Beer Italy c’è stato un incontro sul luppolo italiano. Sul palco Agostino Arioli del Birrificio Italiano, grande birraio e artista nell’uso creativo delle luppolature, ed Eugenio Pellicciari di Italian Hops Company, giovane imprenditore coltivatore di luppolo a capo dell’azienda che ha lanciato le prime tre varietà autoctone italiane. Occasione propizia per ascoltare due professionisti del luppolo con due diversi background: da un lato l’uso creativo dei luppoli nel fare la birra e dall’altro coltivazione e luppoli autoctoni.

Il movimento artigianale deve tantissimo al luppolo, come ha detto Arioli iniziando l’intervento. Tutta la carriera di Agostino, infatti, è stata accompagnata da un uso dei luppoli creativo, come testimoniano le sue birre particolarissime ma al tempo stesso di grande equilibrio che nel tempo sono diventate dei classici dello stile italiano.

Il Birrificio Italiano è attivo dal 1996, ed è stato uno dei primi pionieri a dar vita al movimento artigianale come lo conosciamo oggi.
Fin dall’inizio, Agostino Arioli ha viaggiato all’estero, bazzicando i campi di luppolo allo scopo di trovare quello migliore per le sue birre. Erano gli Anni Novanta, un periodo in cui non lo faceva ancora nessuno: tutti i birrai compravano luppolo secondo alfa acidi e prezzo. Così incontrare un birraio italiano nei campi di luppolo tedeschi che andava lì per annusare e testare, destava meraviglia e diffidenza.

È vero che tutto il movimento artigianale deve molto ai luppoli americani che hanno sconvolto il panorama e allargato gli orizzonti, però allo stesso tempo il movimento deve molto anche ai luppoli tradizionali europei: tedeschi, cechi, sloveni e inglesi rappresentano il centro di interesse del Birrificio Italiano che cerca di valorizzarli il più possibile, anche attraverso un loro utilizzo inusuale. Con questo spirito Arioli ha prodotto birre che ormai sono dei modelli nel nostro panorama artigianale.

Le luppolature del Birrificio Italiano

Pensiamo all’idea di fare il dry hopping in una lager: la Tipopils con il dry hopping ispirato alle birre inglesi che Agostino aveva visto fare nei cask oltremanica. Ed ecco la birra iconica della scena artigianale nazionale.

Nel 2001 nasce la Extra Hop, birra con un massiccio dry hopping in fiore, servita con la “mosca verde”, ovvero con un fiore di luppolo appoggiato sulla schiuma da affogare nella birra al momento di berla, per sentirne i profumi. Un rituale che all’inizio poteva lasciare perplessi i clienti, ma che alla lunga li ha aiutati ad avere una percezione migliore del ruolo del luppolo luppolo. Se pensiamo che da allora sono passati quasi vent’anni, allora ci si rende conto di quanto il Birrificio Italiano sia stato e sia tuttora innovativo.

Poi è nata la Harvest, imperial pils fatta con luppolo verde. Una sperimentazione che è continuata nel tempo fino ad arrivare a usare, oltre ai fiori, anche le cime più tenere delle piante di luppolo, una tecnica che arriva dall’erboristica. Si usa, ad esempio, negli estratti di ribes nero e nella birra consente di ottenere una qualità dell’amaro unica.

Luppoli tostati per la Nigredo accanto ai pellet crudi

Un altro esempio di ricerca sul luppolo riguarda la Nigredo, lager scura con 6,5 % alc. fatta coi luppoli tostati. È frutto di una scoperta casuale: pellet di luppolo bruciati accidentalmente che avevano rilasciato un aroma interessante che Agostino ha indagato, facendo esperimenti su varietà, in pellet e fiori, di Cascade, Select e Aurora, finché ha trovato l’aroma giusto.

La ricerca del Birrificio Italiano è rivolta soprattutto alla valorizzazione del prodotto europeo: i luppoli europei possono essere interessanti e intensi quanto gli americani.

Qualche anno fa è nata l’ultima birra innovativa per la ricerca sui luppoli: si chiama Inclusio Ultima. A base lager, la sua particolartità è il lungo dry hopping in bottiglia. Siccome i pezzettoni verdi di pellet che galleggiano nella birra non sono il massimo per chi poi la deve bere, la soluzione è stata usare il Metodo Classico, tenendo le bottiglie a testa in giù dopo la fermentazione. Poi si ghiaccia il tappo, si sbocca e ci si libera del luppolo in eccesso. Questo luppolo dopo un anno in bottiglia, rilascia una gamma di aromi diversi rispetto allo stesso luppolo usato in caldaia.

Il luppoli autoctoni

Una strada che si sta aprendo è quella dei luppoli autoctoni italiani, una strada che secondo Agostino Arioli, non può che far bene alla birra artigianale italiana. Non vedo l’ora di assaggiare la prima birra del Birrificio Italiano fatta in purezza con un luppolo autoctono italiano.

A continuare il discorso, Eugenio Pelliciari di Italian Hops Company, tra i primi coltivatori di luppolo in Italia che sta collaborando anche con l’Università di Parma per lo sviluppo di genetiche italiane. È un campo quasi del tutto inesplorato: in Italia non abbiamo un’industria del luppolo, per motivi storici il nostro paese non è mai stato avvezzo alla produzione (tranne pochissimi casi), anche se il luppolo cresce spontaneamente un po’ dappertutto.

Il contesto italiano è diverso dai paesi a tradizione birraria. In Italia non abbiamo le strutture e i volumi in grado di sostenere le industrie del luppolo che ci sono in Germania e Slovenia. Tuttavia dal 2011 Italian Hops Company è partita con un progetto di ricerca sul luppolo autoctono, cercando di studiare le realtà estere per arrivare a una produzione di qualità anche nel nostro Paese.
Dal 2012 Italian Hops Company lavora a fianco dell’Università di Parma sulle genetiche italiane. Il punto di partenza sono stati una sessantina di genotipi autoctoni reperiti in tutta la nazione, da nord a sud che, se da un lato dimostrano che il luppolo cresce in modo naturale nel nostro paese (e dunque le coltivazioni sono possibili), allo stesso tempo evidenziano la necessità di una grande attività di ricerca per poter essere usati nell’industria.

Per adesso hanno selezionato alcuni genotipi, tre dei quali sono stati regitrati nel 2016: Mòdna, Æmilia e Futura. Sono le prime tre varietà di luppolo uscite dal progetto di ricerca, tre varietà autoctone, il primo passo su cui strutturare delle genetiche vere e proprie.
La fase due del progetto è una fase fase di incrocio tra cultivar straniere e genotipi italiani. Italia Hops Company coltiva luppoli stranieri (anche per una questione di sostenibilità aziendale), però stanno concedendo sempre più spazio ai luppoli italiani. L’obiettivo è selezionare nuove varietà di luppolo che possano essere caratteristiche per la birra italiana. Per adesso ne stanno sperimentanno una decina o poco più, su cui stanno facendo dei panel di degustazione e delle prove di birrificazione, con l’obiettivo di riuscire a portarne avanti due/tre per la coltivazione. Nei genotipi autoctoni italiani emerge un componente aromatico, un olio aromatico che nelle cultivar di altri paesi troviamo a livelli trascurabili, mentre nelle nostre varietà è presente in quantità tali da diventare caratterizzante e che rilascia un aroma vicino al floreale, suggerendo una direzione per i luppoli incrociati e per le genetiche italiane.

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Francesca Morbidelli

Mi chiamo Francesca Morbidelli, sono tra i fondatori della Pinta Medicea. Dal 2007 scrivo di birra su questo blog e ne gestisco le varie emanazioni social. Sono docente e giudice in concorsi birrari da ben oltre un decennio, e collaboro sia con MoBI che con Unionbirrai. My beer resume (in English). Amministratrice del sito La Pinta Medicea. Contatti: francesca [at] pintamedicea.com - Twitter: @pintamedicea - LinkedIn Francesca Morbidelli.